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Feticismo: l’ esclusività del desiderio.

Il termine feticcio deriva dalla parola fetisio, coniata nel 1400 dai coloni portoghesi per indicare oggetti inanimati che venivano adorati.

Successivamente, Freud, impiegò il termine per descrivere una perversione sessuale, rispetto alla quale l’obiettivo del desiderio/eccitazione non è la persona nella sua totalità bensì  un oggetto inanimato, o una parte del corpo specifica non genitale.

Generalmente, alcune parti del corpo possono essere motivo di maggiore attenzione durante l’incontro erotico, a patto che non si crei dipendenza da esse. Allo stesso modo oggetti inanimati possono essere inclusi nel rapporto, per vivere la sessualità in maniera ludica e creativa, senza che ciò non implichi un uso ricorrente, ripetitivo e necessario degli oggetti stessi.

La condizione si può definire patologica, identificata dal DSM-5 come “Disturbo feticistico”, quando la specifica parte del corpo o l’oggetto inanimato diventano indispensabili per dare l’avvio al coito.

La conseguenza più evidente è l’incapacità di funzionare sessualmente quando “il feticcio” non è disponibile.

Gli oggetti-feticcio più comuni sono:

  • biancheria intima
  • scarpe
  • articoli di gomma
  • indumenti di pelle
  • specifiche parti del corpo (piedi, dita e capelli).

Il soggetto affetto da “Disturbo feticistico” non sempre ne è consapevole ma pensa che la sua modalità di approccio, all’esperienza intima, sia semplicemente una preferenza sessuale.

BIBLIOGRAFIA

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Association.

Simonelli, Petruccelli, Vizzari (2020). Le perversioni sessuali. Global Print. Milano

Freud, S. (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere, tr.it. vol. 4

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